16
maggio

La vita difficile di un gombele (albino)

Foto di IFRC, International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies

Foto di IFRC, International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies

La mia vita è stata sempre segnata dal fatto di essere un “gombele”, ovvero un albino. In Mali sulle persone come me si lanciano maledizioni e si fanno tanti tipi di magie. Una su tutte è quella effettuata dalle persone ricche e potenti, o che vogliono diventare ricche e potenti, prendendo parti del corpo dei gombele per utilizzarli in riti che possono propiziare la riuscita nella vita e il successo. Il rischio di essere rapito o ucciso per le persone come me è sempre presente e fortissimo. 

Quando avevo 7 anni io e la mia famiglia ci siamo spostati in Costa d’Avorio, per mettermi al sicuro. Per due anni mio padre ha pagato un insegnante che veniva a casa per farmi studiare senza che io fossi costretto a uscire per andare a scuola. Sono rimasto in Costa D’Avorio per 14 anni, fino all’inizio del 2009, quando mio padre e mio fratello sono morti in un incidente stradale. Mia madre ha deciso di ritornare nel nostro villaggio in Mali e di portarmi con lei.

Dopo pochi giorni dal nostro ritorno, una sera in cui stavamo andando via dall’autostazione dopo una giornata di lavoro, siamo stati assaliti da un gruppo di persone che volevano rapirmi in quanto gombele. Io sono fuggito cercando di scavalcare un muro, nel fare ciò sono caduto e mi sono rotto i denti. Intanto le persone che mi stavano cercando e che volevano rapirmi hanno ucciso il guardiano dell’autostazione pensando che mi avesse aiutato a fuggire e che sapesse dove mi fossi nascosto. La polizia è arrivata subito dopo l’omicidio e ha constatato l’assassinio del guardiano. I poliziotti sapevano che lavoravo nell’autostazione e hanno pensato che io potessi essere uno dei responsabili dell’omicidio del guardiano avvenuto il giorno prima.

Vista questa mia situazione, il pericolo in cui mi sono trovato e in cui ho fatto vivere anche le persone che mi stavano attorno, ho maturato la decisione di partire dal Mali e di andare in un paese dove essere un gombele non fosse fonte di problemi e di pericolo per la mia persona e per i miei cari. Avevo saputo che in Libia ci sono delle regole meno restrittive sugli ingressi e le permanenze degli stranieri, soprattutto provenienti dall’Africa. Dopo tre giorni dal mio arrivo ho incontrato un libico che mi ha proposto di lavorare nella sua fabbrica di bottiglie d’acqua.

Dall’ottobre del 2009 fino allo scoppio della guerra, nel febbraio del 2011, ho svolto sempre lo stesso lavoro, ma siccome il conflitto aumentava di intensità il mio capo ha deciso di chiudere la fabbrica. Mi ha proposto di aiutarmi a raggiungere il mio paese. A quel punto gli ho raccontato la mia storia e gli ho spiegato che non potevo tornare in Mali. Mi ha creduto, siccome aveva visto la conseguenza del mio incidente in cui mi sono rotto i denti, e allora mi ha portato verso il mare. Sono rimasto sei giorni sulla spiaggia. C’era una vecchia barca e si dormiva lì dentro. Il mio capo mi portava da mangiare ogni giorno. Inoltre mi aveva dato dei soldi per pagare il viaggio. Una mattina una persona è venuta a dirmi che su una barca c’era un posto libero. Io ho dato i soldi a questa persona, 700 dinari, e mi hanno fatto imbarcare insieme a tantissimi altri. Il viaggio è durato una notte e un giorno, poi siamo arrivati a Lampedusa.

Richiedente asilo maliano

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