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24
marzo
Il business dei rifugiati

Il business dei rifugiati

E’ vero, gli esempi di malagestione e di malaffare sono inconfutabili. Riccardo Iacona e la giornalista Giulia Bosetti domenica sera su Rai Tre ce li hanno messi davanti con la consueta professionalità.

Però, scusate, perché mostrare solo gli esempi negativi, come se tutta l’accoglienza dei richiedenti asilo fosse così? Magari si potrebbero mostrare anche 2-3 minutini di esempi positivi, dove si veda come dovrebbero essere spesi i 30 euro al giorno stanziati dal governo per ogni rifugiato. Invece, se vogliamo leggere buone notizie sull’accoglienza le possiamo cercare solo su Redattore Sociale.

E poi, perché usare il titolo “Il business dei rifugiati”, presupponendo una connotazione negativa?

Non è bello per chi cerca di fare questo lavoro con coscienza. Per gli operatori ed educatori che ogni mattina, mezzogiorno o sera entrano in turno e affrontano i tanti problemi di una comunità di accoglienza dove convivono persone, per lo più traumatizzate, di tante nazionalità. Per gli amministrativi che cercano di far quadrare i conti con le fatture e le buste paga. Per chi si occupa dei pasti facendo gli equilibrismi per accontentare a rotazione gusti tanto diversi. Per i mediatori linguistici che aiutano i richiedenti asilo a compilare le domande. Per i medici dell’ASL che hanno la fila fuori di giovani che, passata l’adrenalina del viaggio e del salvataggio, sentono improvvisamente arrivare nei loro corpi stanchi tutti i mali del mondo.

Etichettare tutto questo come “business dei rifugiati” è come dire “business dei disabili”, “business dei malati”, “business dei tossicodipendenti”. Questi sono problemi a cui è necessario dare risposte, e attualmente, accanto al volontariato e dell’ente pubblico, si è ormai configurato uno specifico settore professionale.

C’è chi fa il lavoro con onestà e competenza, chi si improvvisa e pasticcia, e chi delinque.

Però per favore basta generalizzare.

Sandra Federici