6
agosto

In viaggio per amore, in fuga per non morire

Foto di Handirubvi Wakatama

Foto di Handirubvi Wakatama

Quando è cominciata la guerra i miei genitori mi avevano insegnato a essere sempre pronta a scappare. Un giorno sono tornata a casa e li ho trovati morti. Non sapevo dove andare, ero piccola e sola. Avevo 10 anni. Mi avevano lasciato il numero di uno zio con l’indicazione di chiamarlo in caso di bisogno e così mi sono rivolta a lui che mi ha presa a vivere con la sua famiglia. I problemi sono iniziati fin da subito: mi obbligava a vendere l’acqua dentro sacchetti di plastica, non mi faceva più andare a scuola e non mi dava le cure quando ero ammalata. Mio cugino mi vedeva soffrire e così un giorno ha rubato dei soldi a suo padre e me li ha dati dicendomi di andare via.

Ho raggiunto la sorella di mia madre in Ghana. Mi ha accolta come una figlia, mi dava cibo e vestiti, ma purtroppo non aveva molti soldi e non mi poteva pagare gli studi che avrei voluto riprendere. Un giorno si è gravemente ammalata e aveva bisogno di cure mediche molto costose. Io avevo ancora i soldi che mi aveva dato mio cugino e così le ho offerto il mio denaro. Mia zia ha ricevuto le cure ed è guarita. All’età di 17 anni circa, quando stavo imparando il mestiere di parrucchiera, ho conosciuto il mio attuale marito. Lui voleva andarsene dal Ghana perché aveva avuto problemi personali e così è partito per la Libia dove è riuscito a trovare un lavoro come intonacatore e voleva che lo raggiungessi.

Dopo circa un mese sono riuscita a partire verso il Niger. Viaggiavo su un camion enorme con una cinquantina di persone. Un gruppo di ragazzi vestiti come dei poliziotti ci ha fermato, volevano assaltare il camion. Cercavano denaro. Hanno picchiato gli uomini e hanno detto alle donne di sdraiarsi per terra, dopodiché ci hanno chiesto se avevamo dei soldi e chi ha negato è stato perquisito. Quelli che avevano mentito sono stati picchiati violentemente. Io ho rischiato e ho detto di non avere nulla con me, invece avevo nascosto il denaro tra i capelli, ma fortunatamente non l’hanno trovato. A due uomini hanno dato da bere acqua e farina per farli defecare, sapevano che potevano avere ingerito i soldi e infatti li hanno trovati tra le feci. Li hanno decapitati perché avevano cercato di ingannarli.

Quando finalmente sono riuscita ad arrivare in Libia dal mio attuale marito abbiamo trascorso qualche anno felice, ma allo scoppio della guerra siamo dovuti scappare. Abbiamo preso una barca con altre 280 persone circa, io ero incinta e mi trovavo nella parte sotto della barca dove entrava acqua. Mi sono salvata anche se ho perso molto sangue. Quando ho fatto il primo foto-segnalamento stavo male: sono collassata.

Richiedente asilo nigeriana

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