21
agosto

Costretto a fuggire per avere detto “no”

Foto di nyhao

Foto di nyhao

È necessario spiegare che in Burkina Faso un uomo può chiedere alla famiglia di sua madre una donna da offrire in sposa a un suo nipote (figlio di un fratello). Mio zio trovò una donna della sua famiglia che accettò di proporsi come mia sposa. Io rifiutai perché non era mia intenzione sposarmi in quel momento. Mio zio accolse il mio rifiuto come un’offesa nei suoi confronti. Una mancanza di rispetto, un’umiliazione. Essendo lui il capofamiglia, fui cacciato di casa. Chiesi aiuto a mio padre, ma lui non era in grado di rendersi autonomo dalla famiglia e di costruirsi una casa dove trasferirsi con me e con mia madre, quindi mi diede dei soldi per partire. Durante il Ramadan del 2009 mi misi in viaggio per la Libia, dove erano già presenti alcuni parenti che lavoravano a Tripoli.

Con la guerra iniziarono le difficoltà e le minacce da parte di molti libici. Allora chiamai mio zio in Burkina Faso per chiedere di potere fare rientro. Ricevetti un rifiuto. I miei problemi non lo interessavano. Contattai i miei genitori, mio padre tentò di fare intervenire sulla questione il capo villaggio, ma senza nessun risultato. Non può imporre decisioni su questioni familiari a questo livello. Inoltre nell’anno della mia partenza era scoppiato un conflitto tra il mio villaggio e quello vicino. Siccome è previsto dalla legge del distretto un unico capo per entrambi i villaggi che sono adiacenti, la lotta si era scatenata per avere un proprio rappresentante a capo di entrambi. Gli scontri si moltiplicavano e non c’era sicurezza per le strade. Questo problema è ancora in corso. Il capo villaggio eletto non è stato accettato dall’altra parte e ciò provoca tensioni tra gli abitanti. Per queste ragioni m’imbarcai per l’Italia come fecero altri miei parenti prima di me. Per il viaggio ho pagato seicento dinari.

Richiedente asilo del Burkina Faso

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