23
aprile

Analisi del Guardian sull’ennesima tragedia nel Mediterraneo

Foto di Erick Sasse

Foto di Erick Sasse

Cinque giorni fa un peschereccio che trasportava dalle 700 alle 900 persone si è capovolto nel Canale di Sicilia, a circa 60 miglia a nord della Libia. I superstiti sono stati solo 28. Interessante l’analisi del Guardian che fornisce un quadro esaustivo della crisi umanitaria in atto.

Innanzitutto il quotidiano britannico invita a riflettere sulle due tipologie di migranti forzati: i migranti economici e i richiedenti asilo. Le disperate condizioni economiche di paesi come l’Egitto, i territori palestinesi e il Pakistan spingono le persone ad affrontare i pericoli della migrazione illegale pur di mantenere acceso il sogno di una vita migliore. Le guerre che dilaniano Siria, Eritrea e Somalia, paesi dai quali proviene il maggior numero di migranti, costringono le persone a mettersi in fuga pur di salvarsi la pelle.

Secondo i dati dell’UNHCR più di 120.000 siriani sono arrivati in Europa dal 2011, di certo un numero ingente, ma quasi insignificante se confrontato con gli altrettanti 3 milioni di siriani che sono fuggiti altrove, in maggior parte nella vicina Giordania e in Turchia.

Ma la speranza di vita che spinge a scappare spesso annega nelle acque del Mediterraneo. Il 2015 si preannuncia un anno terribilmente funesto: 1.500 le persone morte da gennaio, la metà delle morti avvenute in tutto il 2014. L’operazione Mare Nostrum ha salvato tante vite, ma aveva un costo di 9 milioni di euro al mese che l’Italia, da sola, non ha potuto continuare a sostenere. Ora Triton, l’operazione che congiunge le forze europee, opera con un terzo del budget di Mare Nostrum e i dubbi sulla sua efficacia, a questo punto, paiono più che legittimi.

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